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L’equilibrio di ciò che è vivo e vitale è dato da continui aggiustamenti

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Quando mi guardo intorno mi è impossibile non vedere come la natura sia propensa, attraverso vari meccanismi, al miglioramento di se stessa: le specie si irrobustiscono, gli ecosistemi ricercano l’equilibrio e le ferite, guarendo, producono un tessuto più resistente.
Unici grandi esclusi da questo meccanismo siamo noi uomini, entità supreme dalla spiccata intelligenza che lentamente segano il ramo sopra al quale poggiano le bianche natiche.
Ma a ben guardare è possibile osservare una certa tendenza, una specie di spinta che si origina da un’insoddisfazione di tipo cronico e che mantiene l’uomo in uno stato di continua tensione verso qualcosa che non ha o non è.

Per arrivare al nocciolo della questione la riflessione che mi pongo è che forse anche l’essere umano, inconsciamente, sta cercando uno sviluppo; ogni volta che acquistiamo una nuova macchina, che ci impegniamo per un lavoro più gratificante, che cambiamo le tende di casa, che andiamo in ferie o che scriviamo una mail per arricchire una relazione interpersonale, in qualche modo siamo alla ricerca di un perfezionamento.

Se osserviamo con attenzione alla base di queste azioni è possibile scorgere la spinta di forze “meccanico-evolutive” che in qualche modo ci incalzano e motivano a desiderare situazioni diverse.
La stessa azione è però sostenuta da due motivazioni differenti: o sfuggiamo la sofferenza dando la preferenza a qualcosa di più facilmente sopportabile, oppure, pur compiendo lo stesso gesto, ci sentiamo spinti dal desiderio di cambiare in meglio la condizione in cui viviamo.
In qualche modo, questa spinta, se non è né ascoltata né soddisfatta produce malattia; la natura ci mostra l’impossibilità del rimanere in condizione statica: le cose che non stanno maturando è perché stanno marcendo, il rimanere fermi in una situazione che non soddisfa, con il tempo, produrrà una qualche patologia che, se ascoltata ed interpretata in modo corretto, sarà la forza propulsiva per il cambiamento oppure, come purtroppo avviene nella maggior parte dei casi, può diventare l’inizio del processo inverso e cioè la marcescenza.
Esiste quindi una spinta propulsiva in direzione di una situazione preferibile a quella attualmente vissuta, solo che per qualche motivo la spinta tende a non esaurirsi e la situazione raggiunta è ottimale ma solo per un certo lasso di tempo dopodiché saremo nuovamente sulle spine alla ricerca di qualcosa di meglio o di ipoteticamente più adatto.
È una situazione paradossale e a dir poco stressante che l’uomo moderno vive senza neanche accorgersene: egli è preso nel vortice del “non mi basta mai” e corre, come fosse inseguito da qualche mostro, alla ricerca di una futura felicità che sembra non venire mai.

Quando Gesù parlava alla Samaritana nei pressi del pozzo di Giacobbe, dicendole che lui avrebbe potuto darle un’acqua viva che non le avrebbe fatto più sentire la sete, forse si riferiva alla guarigione di questo sintomo così evidente ed importante (Gv 4, 13 – 15). Nell’allegoria del testo l’acqua viva, dissetando per l’eternità, avrebbe permesso alla Samaritana di non tornare continuamente al pozzo.

Quindi abbiamo un evidente sintomo che produce una società inutilmente stressata, una società addormentata che cerca invano di riempire un setaccio con della sabbia.
Poi abbiamo un grande maestro spirituale vissuto 2000 anni fa che ancor oggi ci dice, allegoricamente, che il setaccio, non solo può essere riempito, ma se vogliamo accedere alla vita vera lo dobbiamo riempire.

Concludendo possiamo capire alcune cose importanti: è normale cercare di avere ogni giorno di più o di essere ogni giorno migliore, ma il consumismo è una strana deviazione, forse un depistaggio, di questo fenomeno naturale.
Il consumismo non funziona, o meglio, non è adatto allo scopo, poiché è sabbia nel setaccio ma, nascosto da qualche parte, ci deve essere ciò che ci permette di riempirlo …

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